Vent'anni

Perché esiste la Fondazione Federico Calabresi? Perché l’umanizzazione è così importante e lo è stata per Federico?

Per far luce su queste domande, voglio partire da lontano, da alcune immagini, profondamente impresse in me.

Ho sempre avuto la sensazione, e penso che questo appartenga a tutti noi figli, di avere un padre importante, tanto per cominciare per la sua costituzione imponente di natura, alla quale si aggiungeva l’abbandono immemore di ogni proposito di perdere peso, per quella sua voce forte, per quella sua gestualità intensa — quando era concentrato nei suoi pensieri contorceva le mani in silenzio — per quel suo sguardo, che poteva essere tanto benevolo, quanto feroce, per quella sua risata solida che echeggiava da lontano e per quella sua mente, sempre impegnata a progettare, si percepiva che il suo tempo era prezioso e desiderato da molte persone. Non sapevamo però fino a che punto la sua umanità avesse segnato così profondamente una parte di mondo, non solo scientifico, fino a quando ci ha lasciati, ancora pieno di vita.

Solo dopo aver ascoltato le toccanti testimonianze dei pazienti rimasti, privati di un sostegno per loro fondamentale, ci siamo resi conto di quanto sapesse alleviare il senso di incertezza e di sofferenza della malattia con una battuta e una risata, non facendo mai sentire il paziente un malato ma, sempre, una persona, con la quale parlare di tanti argomenti, dalla passione per la barca a vela, alla campagna con gli scavi archeologici, o, se necessario, persino di calcio che conosceva a mala pena …

Abbiamo realizzato quanto, oltre alla sua ricerca, segnata da tanti convegni e studi negli Stati Uniti e all’estero, l’umanità fosse l’altra faccia indispensabile dell’essere medico e quanto fosse importante incoraggiarla per il futuro.

Abbiamo capito quanto la sua leadership fosse in grado di far sentire coeso tutto lo staff di medici e infermieri, al fine del progetto di cura e quanto fosse lungimirante la sua comunicazione con il paziente che prevedeva tutti gli effetti collaterali delle cure e i possibili rimedi.

Ricordo una mattina quando gli chiesi: «Perché vai di domenica in ospedale?» E lui rispose laconico: «Per i pazienti non c’è domenica».  

L’entusiasmo, nato nei giorni seguenti la sua morte, da colleghi e amici di costituire una Fondazione a suo nome per non perdere il suo lavoro prezioso, era contagioso e sembrava l’unica possibile risposta a questa enorme perdita. 

Ora sono passati vent’anni e la Fondazione può dirsi di essere riuscita nell’intento, grazie all’impegno di tanti e al lavoro trasversale di nostra madre che va, dalle relazioni alla pratica quotidiana della preparazione di numerosi pacchi di opuscoli che invadono la casa fino al pianerottolo e che spedisce in tutti gli ospedali d’Italia.

Sono guide monografiche sulla malattia tumorale e ce n’è uno anche sulle storie di vita delle pazienti con tumore al seno; sono importanti perché proseguono, come un filo rosso, la sua attenzione nell’informazione, come quello di formare infermiere e infermieri e promuovere borse di studio per giovani medici.

Nel ‘94 Federico Calabresi coronava il progetto di aprire nel reparto di oncologia all’ospedale Regina Elena una sala cinema per i pazienti, poi chiusa e riaperta in forma diversa; negli ultimi anni due grandi ospedali italiani hanno seguito il suo esempio.

Vediamo così che quello che ha seminato è stato raccolto e noi vogliamo, con il vostro aiuto, continuare a seminare, lavorando sulla formazione, la comunicazione, sempre con il suo prezioso messaggio di umanità. Ecco perché esiste la Fondazione.

Alice